Tra spazi inconcepibili e mondi puntiformi: le passeggiate extradimensionali di Edwin A. Abbott e Italo Calvino
Résumé
Nel panorama dei testi nati dal fertile dialogo tra il linguaggio letterario e quello scientifico, due opere, molto diverse tra loro, sono accomunate dalla volontà di rappresentare le dimensioni insondabili della fisica. «Chiamo il nostro mondo Flatlandia, non perché sia così che lo chiamiamo noi, ma per renderne più chiara la natura a voi, o Lettori beati, che avete la fortuna di abitare nello Spazio»: così inizia Flatlandia, libretto di Edwin A. Abbott edito nel 1882. Così, invece, Tutto in un punto, «cosmicomica» di Italo Calvino: «Si capisce che si stava tutti lì […] e dove, altrimenti? Che ci potesse essere lo spazio, nessuno ancora lo sapeva». La voce geometrica di un quadrato, da un lato, e quella puramente astratta di Qfwfq, dall’altro, accompagnano noi, ignari lettori, in universi che trascendono ogni possibile percezione umana. La pagina scritta nasce, in entrambi i casi, dalla sfida di rappresentare l’irrappresentabile. Ed è proprio il connubio tra «logica» e «fantasia» ad avvicinare l’opera di Abbott a quella calviniana, presentandosi come il punto d’incontro privilegiato tra il pensiero scientifico e l’invenzione letteraria, in un arricchimento reciproco teso ad aprire nuovi spazi di conoscenza. Partendo da queste suggestioni, l’intervento intende esaminare le modalità con cui gli universi inconoscibili della fisica sono rappresentati nei testi di Abbott e di Calvino; secondo evidenti divergenze stilistiche, ma anche nei comuni moduli di pensiero.